1968
Il visitatore attento del Museo Nazionale di Taranto non può non rimanere sorpreso, addentrandosi nelle sale della sezione topografica, dalla presenza fra i materiali esposti della Messapia di un’olla d’impasto brunastro d’arte orientalizzante del VII secolo av. Cr., tipica del territorio falisco-capenate, ornata a graffito di fantastici cavalli alati sui due lati e di uccelli stilizzati sotto ognuna delle due anse del vaso che misura m. 0,15 di altezza e reca il n. 55267 d’inventario (tav. XVIII, 2).
Un contadino asserì di averlo rinvenuto nel 1934 a Valesio, l’antica città di Baletion, da cui continuano a provenire cospicui reperti di età arcaica. La possibilità che questo vaso di autentica produzione etrusca sia stato importato da Taranto e quindi introdotto nell’area messapica può essere accettabile. Più verosimile mi pare l’ipotesi che la pregevole olla possa essere arrivata nel porto di Brindisi, che sappiamo fiorentissimo nel VII secolo, e poi pervenuta nel suo hinterland messapico. Appartiene ad un corredo funerario, raccolto parte dentro e parte al di fuori di una tomba, scoperta nel 1926 a Taranto in contrada “Vaccarella”, un kantharos in bucchero etrusco degli inizi del VI secolo av. Cr. Il corredo comprende inoltre un amphoriskos mesocorinzio con decorazione zoomorfa, i frammenti di una tazza meso-corinzia con decorazione analoga, una coppa laconica ed una kylix ionica frammentarie ed un rhyton a forma di Sirena, ed è databile quindi a non più tardi del 580 av. Cr. (tav. XIX, 1).
Un altro kantharos analogo figura in un corredo funerario coevo, scoperto a Faggiano nell’entroterra tarentino; di un altro, appartenente ad una sepoltura della metà del VI secolo rinvenuta a Satyrion, rimane solo un frammento.
La presenza nella necropoli di Taranto e nel suo territorio del kantharos in bucchero etrusco non può certo sorprendere, data la larga diffusione di questo vaso nel mondo occidentale, dove appare come la sola forma preferita, specie nella seconda metà del VII e i primi decenni del VI secolo av. Cr., fra tutta la ricca gamma di vasi in bucchero dell’Etruria, forse perché essa è meno frequente nel repertorio vascolare greco e soprattutto ignota in quello corinzio contemporaneo, costituendo quindi un oggetto ricercato e richiesto sul mercato delle mercanzie destinate alle città elleniche.
Siamo tornati così a Taranto, dove in via Anfiteatro nel 1911, in una tomba della metà inoltrata del VI secolo, insieme ad una pyxis ed una lekythos tardo-corinzie, un balsamario plastico di provenienza rodia e due coppe attiche a figure nere, di cui una del tipo di “Siana”, fu raccolta una kylix in bucchero etrusco (tav. XIX, 2), che è la riproduzione perfetta di una coppa ionica contemporanea e che, rispetto al kantharos surricordato di contrada “Vaccarella”, forma tendente ormai a cadere in disuso, costituisce forse il più tardo prodotto vascolare in bucchero di provenienza etrusca trovato in Magna Grecia.
Eccezionalmente interessante appare la scoperta a Lizzano, nei dintorni di Taranto, in una tomba databile al 540 circa av. Cr., di una hydria a figure nere di fabbrica sicuramente etrusca associata ad una “lip-cup” attica dei “Piccoli Maestri”, ad una kylix ad occhioni attica a figure nere e ad una lekythos pure attica a figure nere (tav. XX, 1). L’hydria raffigura nella sua parte nobile l’ultima e più grave impresa di Herakles, quella della cattura di Cerbero con l’aiuto di Hermes e Athena, pure rappresentati sul vaso, che sulla spalla reca la scena dell’inseguimento di Perseo da parte di due Gorgoni.
Il vaso, che è in corso di studio, si allinea con le opere più pregevoli della ceramografia etrusca del VI secolo, e non può non destare sorpresa la sua presenza nel territorio di Taranto, dove è predominante in questa età la produzione attica a figure nere.
Come si vede da questa fugace rassegna, che merita certamente un esame più approfondito, ciò che mi riservo di fare in altra sede, non mancano in Magna Grecia testimonianze significative di un commercio di prodotti vascolari etruschi, anche se si tratta purtuttavia, al confronto della massa imponente delle importazioni corinzie, ioniche, laconiche, calcidesi e attiche, di reperti che allo stato dell’indagine archeologica potranno sembrare esigui e sporadici, ma che non possono certo imputarsi ad un traffico episodico e occasionale, limitato ai soli porti dell’Italia meridionale, ove si tenga conto della presenza di kantharoi in bucchero etrusco fin nel bacino orientale del Mediterraneo, a giudicare dai ritrovamenti piuttosto copiosi di Perachora, Atene, Corinto, Delos, Rodi, Chio e Smirne.
Concludendo e soffermandoci a Taranto, al suo territorio, al suo entroterra peuceta e messapico, che appaiono fin dal VII secolo interessati dai reperti che abbiamo descritto, si può affermare che tali prodotti di fabbrica etrusca, i quali si mescolano con la massa invero imponente delle importazioni che da ogni dove del mondo ellenico pervenivano alla città del Golfo e ne costituivano mezzi di scambio con i prodotti del suolo, si spiegano qui più che altrove per la posizione preminente della rada di Taranto quale passaggio necessario e tappa obbligata per le navi in rotta dall’Etruria alla Grecia e viceversa.
I vasi e i bronzi etruschi, che abbiamo visto diffondersi nelle colonie magno-greche soprattutto nel VI secolo e penetrare, seppure occasionalmente, via terra nel loro territorio, cessano di circolare o divengono sempre più rari alla fine del secolo e agl’inizi del V, in evidente relazione con la diminuita influenza della civiltà degli Etruschi sull’Italia meridionale e l’indebolimento progressivo della loro potenza politica fino al disastro di Cuma (474 av. Cr.).
FELICE GINO LO PORTO