1980
Molti sono stati gli interventi compiuti nella città di Taranto, dovuti sia all’intensa attività edilizia, sia a lavori pubblici di vasta portata. Ricco di buoni ed insperati risultati è stato il lavoro effettuato, da aprile a giugno, presso la muraglia antica in località Masseria del Carmine, sotto la guida dei dott. A. D’Amicis ed E. Lippolis.
L’occasione per la ripresa dei lavori presso un monumento già noto ed esplorato a più riprese dal 1881 al 1968 è stata data dall’intenzione, manifestata dal Comune, di risanare l’area trasformata in discarica e di destinarla a verde pubblico.
Lo scopo prefisso era quello di acquisire una maggiore quantità di dati scientifici attraverso opportune verifiche. Dopo un’operazione di pulitura, si è proceduto all’apertura di saggi che, in alcuni casi, hanno interessato le trincee del 1968, purtroppo non completamente documentate. Si è così accertato che la struttura è costituita da due paramenti realizzati in tufo locale (e non in carparo come è stato scritto più volte), collegati tra loro da una serie di setti murari trasversali, come aveva notato il Lo Porto nella sua relazione presentata al Convegno del 1970.
Alle notizie presentate in quell’occasione si sono aggiunti, tuttavia, nuovi dati.
Il tratto attualmente conservato, lungo circa m. 70, presenta uno spessore costante di m. 4,20 e non di m. 2,60, come sostenevano L. Viola e F.G. Lo Porto.
La struttura è conservata per un solo filare, tranne che nei setti trasversali, in cui è presente talvolta anche una seconda assise e, in un caso, traccia della terza. La tecnica impiegata è isodomica, a grandi blocchi parallelepipedi.
Il paramento esterno è fondato circa 50 cm. Più in basso rispetto a quello interno. Esso è conservato in tre tratti di cui il più lungo è stato messo in luce in questa campagna di scavo. I blocchi di fondazione sono stati impostati su un leggero declivio naturale con allettamento di argilla e frammenti di pietra calcarea. L’attuale piano di calpestio è posto al di sotto di quello antico, asportato negli scavi precedenti.
I setti trasversali sono disposti ad intervalli regolari, oscillanti fra m. 9,50 e 10,50. Essi sono impostati alla stessa quota del paramento esterno, con il quale sarebbero stati collocati, in una medesima fase costruttiva.
Il paramento interno, impostato, come si è detto 50 cm. più in alto delle altre strutture, è stato costruito in una fase successiva in quanto si appoggia visibilmente ai setti murari trasversali.
Si è proceduto al rilevamento di tutti i blocchi recanti segni di cava. Sono presenti numerosi segni alfabetici, soprattutto vocali, aventi forse valore numerico: A, E, Y.
La frequentazione più antica nella zona è rappresentata da alcune tombe a fossa, ricoperte da lastroni di carparo e ricavate nel livello sottostante alle fondazioni della muraglia. Già il Lo Porto ne aveva rinvenute quattordici, di cui una posta immediatamente al di sotto di un blocco del paramento esterno. Solo tre di esse presentavano il corredo, datato agli inizi del VI secolo a.C. Anche negli scavi di quest’anno sono state rinvenute tre tombe, appartenenti a questa stessa fase, purtroppo prive di corredo. La costruzione della muraglia oblitera completamente questo livello archeologico, coprendo, in alcuni casi, le deposizioni. La cronologia di questa struttura è collocata dal Lo Porto nel 450-430 a.C., sulla base dei dati epigrafici offerti dai segni di cava, concordando con l’ipotesi già avanzata dal Viola. L’assenza di altri elementi non permette di verificare stratigraficamente la datazione prop9sta, tuttavia la collocazione, nell’ambito del V sec. a.C. appare la più probabile.
Più difficile è invece l’interpretazione archeologica di una struttura conservata solo per alcuni tratti, successiva alla muraglia di cui conserva l’orientamento, sovrapponendosi. Essa si imposta al centro della struttura più antica certamente distrutta, senza riutilizzare nemmeno il materiale. L’opera muraria realizzata in carparo, e non in tufo tenero come la precedente, è costituita da blocchi irregolari di piccole dimensioni, che formano il paramento di una struttura a sacco. Lo spessore delle mura si aggira intorno ai due metri; la fattura appare affrettata e poco curata.
A questa seconda fase di frequentazione della zona sembra appartenere un’area di deposizioni infantili, tutte all’interno della muraglia.
Sono state rinvenute sei tombe a fossa, ricavate nel terreno e ricoperte da piccole lastre di carparo o da tegole, poste al di sopra della necropoli arcaica. La tomba n. l conteneva un’olpe a vernice nera, databile nel III secolo a.C.; tutte le altre erano prive di suppellettile.
La frequentazione nella zona sembra arrestarsi proprio al III sec. a.C., non essendo· state rinvenute tracce più tarde.
Sempre a Taranto lo scavo profondo per l’installazione della rete fognante lungo la corsia nord di via Dante ha permesso l’indagine archeologica di un altro settore della necropoli greca. I lavori si sono svolti da luglio a settembre in una trincea lunga m. 250 ca. e larga m. 4 e sono stati seguiti nei primi giorni dalla dott. G. Russo e per il resto della campagna dai dott. E. Lippolis e A. Macripò.
La stratigrafia dell’area risulta disturbata sia dalla sistemazione della sede stradale, sia da lavori agricoli effettuati quando la zona era coltivata. Al di sotto dello strato rimosso dai lavori agricoli affiora il «cappellaccio» locale, che ricopre il banco tufaceo sottostante, in cui erano scavate con molta cura le tombe. Di conseguenza non si sono conservati i piani di calpestio antichi. Le tombe recuperate sono state 29, di cui 25 a fossa, una a semicamera ed una a camera con arco centrale (tav. LXVIII,l); esse si addensavano in quattro nuclei. Il primo nucleo è costituito da due tombe a fossa, databili nella prima metà del III secolo a.C. Il secondo nucleo è formato da dieci tombe, databili tra la fine del IV sec. a.C. e la prima metà del successivo; tra queste si trovano la tomba a semicamera e quella a camera con arco centrale. A circa 16 m. di distanza è stato rinvenuto un terzo nucleo di tre tombe già depredate. Molto lontane da queste, a m. 95 ca., l’ultimo nucleo di 14 deposizioni, tutte a fossa. Gli spazi vuoti fra i quattro gruppi di tombe non presentavano, al livello di affioramento del cappellaccio, nessun altro tipo di strutture antiche, né tracce di strade; anche questo è un dato importante per lo studio dell’assetto urbanistico della città antica. Le inumazioni sono pertinenti ad individui adulti di entrambi i sessi, disposti in posizione supina, con le braccia lungo i fianchi; mancano le deposizioni infantili.
L’ipogeo con arco centrale e quello a semicamera, i più notevoli dal punto di vista architettonico, risultavano depredati. Lo scavo del primo aveva tagliato la fossa della tomba n. 5, bisoma, i cui oggetti di corredo più recenti (unguentario del tipo II – Forti) si collocano fra la fine del IV ed il III secolo a.C. Il contiguo ipogeo a semicamera tagliava anch’esso la fossa di una tomba (n. 9), databile al primo venticinquennio del III secolo a.C. Di conseguenza entrambe le camere sepolcrali si possono ricondurre al III secolo a. C. Notevole la prima per la presenza dell’arco a tutto sesto, costruito con 11 conci radiali di tufo stuccato, così come in poche altre tombe della necropoli tarantina. Al di sotto dell’arco, sul fondo della camera sepolcrale, a sud, era presente una kline funeraria, di forma parallelepipeda, ricavata nella roccia con due braccioli laterali. L’ipogeo a semicamera, di pianta rettangolare, presentava trabeazioni modanate e stuccate, realizzate in calcare bianco. Frammenti di colonne in carparo, finemente stuccate e modanate, pertinenti ad un naiskos, insieme ad un frontoncino in carparo stuccato e dipinto, si trovavano all’interno di entrambe le tombe monumentali.
Fra le due sepolture del primo gruppo degna di nota è la tomba 2 A (tav. LXVIII,2) per il suo corredo. Ad essa appartenevano, infatti, un’oinochoe baccellata dello stile di Gnathia, un gruppo di due statuette, impostate su un’unica base cilindrica, rappresentanti una figura virile nuda con himation sulle spalle e un piccolo Erote, e soprattutto interessante una figura di giovane alato, con ampio berretto, corazza anatomica e clamide sul braccio sinistro (Eros?), impostata su una base rettangolare. Da segnalare, infine, nell’ultimo nucleo di deposizioni, la presenza di un pozzo di grandi dimensioni, cilindrico, in cui confluivano alcune canalette scavate nel banco tufaceo. Il pozzo è stato esplorato per la profondità di m. 2,60, fino all’affioramento della falda acquifera. Nel riempimento dello stesso un asse di bronzo della zecca romana, emesso tra il 169 ed il 158 a.C., offre il termine cronologico più recente della frequentazione dell’area.
Altri interventi sono stati effettuati in diversi punti della vasta necropoli tarantina, con il recupero di tombe in via Plateia ed in viale Magna Grecia.
Fuori della città antica, sul lato orientale, e prima della Salina Grande, in un’area interessata da intensa attività edilizia, sono stati messi in luce, sotto la direzione della dott. M. Gorgoglione, resti consistenti di frequentazione antica. Le prime testimonianze risalgono al VI-IV secolo a.C. (frammenti di terrecotte votive e di antefisse: tav. LXIX,2), ma la presenza più evidente è data da una serie di muretti, costruiti con pietre irregolari cementate da abbondante malta, pertinenti probabilmente ad un complesso di età romana, indirizzato ad attività artigianali.
Infatti in quest’area, già in passato denominata «Le Fornaci» (cfr. Lenormant, p. 85), è stata messa in luce una fornace a pianta rettangolare e corridoio centrale del tipo II h della classificazione di N. Cuomo di Caprio (fig. l; tav. LXIX,l). Dal prefurnio, di forma trapezoidale allungata si passa, nella camera di combustione rettangolare avente una doppia fila di cinque pilastri allineati e addossati alle due pareti lunghe della camera di combustione. L’alzato è costituito da una parete perimetrale, spessa circa 80 cm. e formata da frammenti di terracotta (pareti di vasi, tegole, ecc.) cementati con argilla e rinsaldati da grossi mattoni rettangolari. All’esterno di questo muro se n’è rinvenuto un altro, formato da pietre, che fodera l’intera struttura. Il piano di pavimentazione è costituito da terriccio e sabbia; non sono stati trovati resti della griglia, né dell’eventuale copertura. Materiale determinante per la cronologia sono le tazze di terra sigillata chiara A (80-180 d.C.) ed un bollo con la scritta NERITI che si trova anche a Roma, in strutture di età traianea. La fornace doveva servire alla fabbricazione probabilmente di laterizi e sicuramente di vasi, essendo stato rinvenuto nel suo ambito un vaso deformato e scartato dopo la cottura.
Anche nel territorio che circonda Taranto numerosi sono stati gli interventi della Soprintendenza. A Saturo, sul pianoro a SO dell’acropoli, sono continuati i saggi esplorativi, già iniziati l’anno scorso ed intesi a procurare la documentazione necessaria per l’impostazione del vincolo archeologico. Gli scavi, iniziati a luglio e tuttora in corso, sono stati diretti da chi vi parla, con la collaborazione della dott. T. Schojer.
Gli ultimi saggi dell’ottobre dell’anno scorso avevano rivelato l’esistenza, in quell’area, di un insediamento della tarda età del Bronzo e della I età del Ferro, con resti di capanne riconoscibili dalla presenza-di buche per i pali lignei. Quest’anno si è aperta una nuova serie di saggi inseriti nelle maglie della quadrettatura dell’intera area e si è allargato il saggio n. 3 dell979, allo scopo di mettere completamente in luce la pianta di una capanna tardo-appenninica individuata l’anno scorso e di accertare la successione stratigrafica degli insediamenti. La stratigrafia è abbastanza omogenea: una coltre di terra vegetale rimaneggiata dai lavori agricoli, dello spessore di 65-70 cm, si sovrappone a tre strati archeologici, dei quali i primi due hanno uno spessore di cm 30 e 20.
Nello strato di «humus» si è rinvenuto abbondante materiale di età storica e protostorica. Il primo è rappresentato da ceramica corinzia, laconica, attica a vernice nera, apula a figure rosse, a vernice nera e dello stile di Gnathia, e da numerosi frammenti con decorazione a fasce. Al secondo appartengono numerosi frammenti della I età del Ferro come quelli scoperti l’anno scorso sull’acropoli e pertinenti a pithoi situliformi d’impasto decorati con cordoni orizzontali o prese a linguetta, associati a frammenti del Geometrico iapygio.
In questo stesso strato sconvolto sono stati raccolti anche frammenti dell’età del Bronzo d’impasto e sub-micenei ed ancora frammenti di «ceramica grigia» ed un’accettina votiva in giadeite di età neolitica. Dallo stesso strato provengono pesi cilindrici d’impasto, diskoi circolari o a ferro di cavallo, frammenti di coroplastica come qualche testina di Persephone e di Artemide Bendis. Nel I strato, dopo 10 cm di profondità, si è individuato il primo livello di frequentazione parzialmente intatto, rappresentato da uno spesso battuto argilloso delimitato su un lato da un muretto di pietre informi, probabile parete di capanna; nel battuto argilloso era inserita una sepoltura ad «enchytrismòs» (pithos situliforme). Il II strato comprendeva i resti di un battuto pavimentale in argilla indurita e arrossata dal fuoco, un fornello di forma ovale, ricavato nel banco argilloso e riempito di cenere. Nella stessa area si aprivano due piccole buche per pali lignei attestanti l’esistenza di una capanna di epoca non molto anteriore a quella del I strato, data l’omogeneità dei materiali recuperati. Il terzo strato è stato messo in luce soltanto in minima parte, tuttavia sono stati riconosciuti già sette buchi per pali lignei, disposti a semicerchio e ricavati nel banco argilloso di colore giallo-verdino. La capanna, di cui ancora non è stata scoperta l’intera superficie, è riferibile ad un orizzonte culturale tardo appenninico.
Sempre a Saturo, ma nell’area del santuario greco, è in corso una nuova campagna di scavo, iniziata a luglio e diretta da chi vi parla con la collaborazione della dott. L. Costamagna. Già negli anni 1976/77 la Soprintendenza aveva condotto massicci scavi nella zona, individuando un’area sacra relativa al culto della ninfa Satyria, da mettere in relazione con la presenza, ancora attuale, di una sorgente di acqua.
L’imposizione del vincolo a tutta l’area in questione e la successiva occupazione temporanea del sito ci hanno permesso di intervenire per risistemare i vecchi scavi, profondamente sconvolti dai clandestini, con lo scopo di creare nella zona, una volta espropriata, un importante parco archeologico.
Oltre alla risistemazione dell’area, nostro obiettivo è stato quello di approfondire, in alcuni punti chiave, la ricerca per dare una risposta ai numerosi interrogativi ancora esistenti. Si è proceduto, pertanto, alla recinzione ed alla quadrettatura generale di tutta la zona, cercando poi di definire i limiti dell’area sacra e la struttura del santuario. Il culto nel sito è attestato fin dal VII secolo a.C. e nel periodo più antico dovette incentrarsi principalmente nelle piccole grotte naturali, formate dal banco tufaceo nel punto in cui questo presenta un salto di quota, affacciandosi nella valletta percorsa dall’acqua sorgiva. Le favisse, relative a questa prima fase di vita del santuario, sono state ritrovate in prossimità e sotto i crolli della volta delle grotte, offrendo i complessi ceramici e coroplastici in parte già noti.
In epoca successiva (V secolo a.C.) l’organizzazione del santuario si fece più complessa con la costruzione di un sacello (tav. LXX,l) in blocchi isodomici di carparo; sacello la cui esplorazione era stata appena iniziata nel 1977 ed in cui si rinvenne una statua di marmo, di figura femminile panneggiata, acefala e mutila, trovata all’interno del sacello, a ridosso del lato ovest, al. di sopra di un massiccio ed esteso crollo di tegole.
Nel periodo posteriore all’abbandono ed al crollo dell’edificio l’area a SO di questo fu occupata da ambienti con muri di rozza fattura, pertinenti probabilmente a tre fasi costruttive.
Lo scavo del sacello è stato indirizzato soprattutto al chiarimento delle caratteristiche tecniche e della collocazione cronologica della struttura. Nel 1977 lo scavo all’interno del sacello era giunto ad individuare il livello di crollo della copertura. Si è proceduto, quindi, ad operare un saggio in profondità (m 2 x l ,50) a ridosso della parete sud e perpendicolare ad essa. Su questo lato, oltre all’unico filare di blocchi di fondazione, sono conservate due assise dell’alzato. I blocchi dell’alzato sono posti di taglio (cm. 120 x 57 X 40), mentre quelli della fondazione, posti di piatto, formano una risega sporgente sia all’interno che all’esterno, aumentando in tal modo la base di appoggio del muro stesso. All’interno lo strato di tegole aveva uno spessore di 25-30 cm ed andava, come quota, dalla faccia inferiore della prima assise dell’elevato fino quasi a metà altezza del filare di fondazione. La presenza, nello strato di crollo, di una moneta di bronzo, cioè un triente di zecca siciliana, databile al 211-210 a.C., costituisce un sicuro termine cronologico per la fine dell’edificio.
Al di sotto del livello di crollo un battuto di soli 5 cm di spessore indica il piano di calpestio dell’edificio: piano che si pone, quindi, a soli 20 cm. ca. dal piano di posa del filare di fondazione. Il battuto comprende materiale che va dalla seconda metà del VI secolo fino al IV, ma particolarmente abbondante è quello compreso fra la fine del VI e la prima metà del V secolo a.C. Al di sotto del battuto c’è uno strato di preparazione necessario per regolarizzare la superficie della potente massicciata sottostante, costituita da ciottoli e spessa cm 50 circa. Sembra che la messa in posa del filare di base non abbia comportato il taglio di un vero e proprio cavo di fondazione.
Un secondo saggio operato all’esterno e perpendicolare alla parete ovest del sacello ha confermato i dati offerti dal primo. Parte del filare di fondazione risultava fuori del piano di calpestio antico, ottobre 1976, Napoli 1977, che si addossava al muro del sacello con uno strato ricco di frammenti di materiale votivo della fine del VI secolo. A proposito dell’elevato del sacello bisogna segnalare la presenza di riquadrature a leggero rilievo che ornano, all’esterno, la prima assise di blocchi.
Uno scasso operato da parte dei clandestini, recentemente, all’interno del sacello, ha messo in luce, al centro dello stesso, un ampio basamento quadrangolare di carparo (m. 1,43 x 1,35; spessore m. 0,55). Sulla superficie della lastra è visibile al centro un incasso di forma quadrata, con l’attacco di un elemento di bronzo. Si può ipotizzare che il basamento fungesse da fondazione del podio di una statua di culto, emergendo di pochissimi centimetri dal battuto pavimentale.
Con il crollo dell’edificio la vita culturale nel santuario finisce: come attesta la mancanza di materiale votivo posteriore al III secolo.
Troppo facile sarebbe, a questo punto, il collegamento con le vicende storiche che travagliarono la città di Taranto, alla fine del III sec. a.C.
Dopo il crollo dell’edificio, in un momento non ancora determinabile con precisione, furono costruiti degli ambienti che oltre a riutilizzare blocchi del sacello lo scavalcano presso l’angolo SO.
Nella zona interessata da queste strutture sono stati rinvenuti frammenti di ceramica tardo-ellenistica, a pasta grigia, e, più scarsi, frammenti di terra sigillata italica e di sigillata chiara A.
ETTORE M. DE JULIIS