1979
A Taranto, l’apertura di una nuova strada, nella zona orientale della città, presso il Tribunale nuovo, ha consentito, dopo la sospensione dei lavori condotti dal Comune, l’esplorazione sistematica di una vasta area dell’antica necropoli. I lavori, durati da aprile a giugno e seguiti costantemente dall’assistente Barone e da un gruppo di giovani fra i quali la dott. G. Russo, hanno messo in luce 120 tombe, disposte fittamente in alcune aree ben delimitate, distinte fra loro da zone sterili, secondo una regolare disposizione urbanistica. La maggior parte delle 120 tombe, e cioè 107, era a semplice fossa, 6 erano «a cassa», 3 a sarcofago di carparo, 2 a sarcofago fittile, 2 formate da una coppia di tegole sovrapposte.
L’orientamento era variabile. La copertura era costituita da lastre di carparo piane e a doppio spiovente, oppure da tegoloni. La posizione dello scheletro era sempre distesa e supina. Sia nelle tombe a fossa che nei sarcofagi è presente un rialzo, a mo’ di guanciale, lì dove veniva adagiata la testa del defunto (tavv. XXVIII,1-2; XXIX,1).
Le tombe recuperate si collocano in un arco cronologico che copre interamente i secoli V e IV a.C., concentrandosi soprattutto nel IV. I corredi, sia per quantità, sia per qualità degli oggetti si presentano abbastanza sobri e senza grandi differenze fra loro, specchio di una società «democratica», in cui un’equa distribuzione delle ricchezze si associa ad un costume civile avanzato, in contrasto con l’esasperata ostentazione di ricchezza presente nelle necropoli indigene, sia pure ellenizzate.
Sempre a Taranto, in via Principe Amedeo, la costruzione del nuovo Mercato coperto, ha rivelato l’esistenza di due pozzi antichi.
Di uno è stato possibile lo svuotamento completo, condotto dal 13 al 18 giugno dalla dott. A. D’Amicis.
La parte superiore del pozzo, per una profondità di m. 2,54 dal piano stradale, era stata parzialmente compromessa dal cavo per il collocamento di un pilastro. Da quella quota per m. 2,40 di profondità il pozzo era integro. Esso era scavato nella roccia, aveva forma cilindrica, un diametro di m. l ,24 e degli intacchi di forma semilunata su due lati opposti, 5 a sud e tre a nord, per consentire la discesa nel pozzo; l’ultimo intacco distava m. l dal fondo. Lo svuotamento è stato effettuato per livelli di cm. 30 ciascuno, con il setacciamento del terreno asportato. Si sono potuti distinguere, quindi, sei strati di riempimento. Il I ed il II, fino ad una distanza dal fondo di m. 1,80, contenevano materiale del IV-III secolo a.C.; il III strato, spesso cm. 30, era sterile; il IV, di uguale spessore, conteneva frammenti di vasi a vernice nera e con decorazione a fasce.
Gli ultimi due strati, il V ed il VI, spessi entrambi circa 60 cm., hanno restituito il materiale più interessante.
Dallo strato V si sono recuperati frammenti di vasi attici a vernice nera del V secolo a.C. (pisside, lekythos, skyphos), ceramica d’uso domestico (anfore, bacini), frammenti di vasi d’impasto e, caso eccezionale, una gemma d’anello, d’avorio, con figura virile incisa. Nell’ultimo strato sono stati recuperati frammenti di vasi attici a vernice nera (kylikes, skyphoi), di vasi con decorazione a fasce; una testa di statuetta votiva, raffigurante una dea con alto polos, probabilmente Artemide-Kore, che conserva tracce di ingubbiatura bianca e di colore rosso sulle labbra ed è assegnabile all’arcaismo maturo ed infine un frammento di skyphos tardo-corinzio miniaturistico, che segnano l’abbandono del pozzo già dalla seconda metà del VI secolo a.C.
Motivi di carattere scientifico e l’urgenza di una più sicura tutela della zona archeologica mi hanno indotto a riprendere dopo venti anni, quest’anno, lo scavo sistematico sull’acropoli di Saturo e nelle aree adiacenti. Dopo la recente imposizione del vincolo alla zona del santuario, oggetto di ampi scavi negli anni passati, l’espansione edilizia di tipo residenziale minaccia di indirizzarsi verso la collina di Saturo, priva ancora, purtroppo, di un vincolo, in vista del quale sono stati effettuati, e sono ancora in corso, diffusi saggi.
La prima campagna di scavo, effettuata nei mesi di luglio-agosto, è stata condotta personalmente da chi vi parla coadiuvato validamente dall’assistente Barone e da un nutrito gruppo di «giovani», guidati dalla dott. T. Schojer. Sono stati aperti due saggi A e B a nord ed a sud del saggio effettuato dal Lo Porto nel 1959 e pubblicato in Notizie degli Scavi del 1964.
Riassumendo i dati raccolti fino a questo momento, possiamo dire di esserci imbattuti in tre principali fasi storiche succedutesi nel sito. Cominciando dall’alto, e quindi dalla più recente, tutta l’area appare interessata da una generale e massiccia sistemazione e da un ampio spianamento, collocabile cronologicamente fra il V ed il III secolo a.C., come attestano i frammenti di ceramica più recenti: ceramica a vernice nera e dello stile di Gnathia.
La seconda fase è documentata da una serie di livelli di frequentazione e dal materiale in essi contenuto, anche se in maniera confusa ed eterogenea date le ampie manomissioni della zona. Questa fase comprende i secoli VII-V a.C., cioè quelli della fioritura dell’insediamento greco. I reperti sono costituiti da ceramica protocorinzia
e corinzia, laconica, statuine fittili di vario tipo e di varie età (tav. XXIX,2). A questo stesso periodo è stato attribuito dal Lo Porto il resto di un muro costruito con blocchi di carparo, riferibili, forse, ad un tempio o ad un temenos sacro a Persephone. Di questi blocchi sono cosparse ancora oggi le pendici della collina di Saturo, mentre la maggior parte sarà servita, in passato, alla costruzione della vicina torre d’avvistamento cinquecentesca e ad altre costruzioni più recenti.
La terza fase, costituita da un piano di frequentazione per lo più intatto, è attestata da modeste strutture di abitazioni relative al villaggio indigeno, iapigio, precedente all’arrivo dei coloni greci negli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C. Su un piano inclinato riparato a SE dal costone roccioso, sono stati messi in luce muretti di pietre a secco, un focolare (profondo m. 1,05 dal piano di campagna), concavità contenenti frammenti di vasi, condotti di drenaggio per l’acqua piovana. A questa fase appartengono vasi d’impasto, iapigi acromi o decorati con motivi geometrici (tav. XXX,1) ed ancora nuclei di intonaco di capanna, ossa di animali serviti per i pasti, pietre con evidenti tracce di fuoco. Al di sotto di questo strato iapigio della prima età del Ferro sembra intravedersi un livello dell’età del Bronzo, laddove non è stato cancellato dal successivo lungo insediamento del sito. Per ora nel punto più profondo raggiunto (m. 1,60 dal piano di campagna) è stato recuperato un frammento di vaso d’impasto con decorazione incisa di tipo appenninico.
ETTORE M. DE JULIIS