1983
L’attività archeologica nella città di Taranto è stata anche quest’ anno ininterrotta, benché non programmata; abbiamo operato, infatti in ben dieci cantieri con lavori coordinati e diretti dagli Ispettori Dott. A. Alessio e A. Dell’Aglio. Per evitare una monotona e confusa elencazione di dati, ho cercato di raggruppare gli interventi in base al genere di presenza archeologica più evidente. Nella zona orientale, in via Pola, lo scavo di una lunga trincea per la posa dei tubi del gas, ha messo in luce, fra l’altro, due setti murari paralleli, orientati in senso E-O, distanti l’uno dall’altro in 3,50 e larghi ciascuno m 2; essi sono conservati per una sola assise e costruiti con blocchi parallelepipedi di pietra tufacea, disposti alla maniera «greca» a dia toni ed orto stati alternati. L’esigua estensione dello scavo non ha permesso di chiarire il carattere della struttura; tuttavia è probabile che essa sia connessa con il sistema difensivo della città.
Un altro intervento che ha portato nuovi dati sul sistema difensivo della città antica, è quello effettuato in contrada Solito-Corvisea lungo il percorso di via Lazazzera, che corre in senso perpendicolare alla linea delle mura antiche.
Lo scavo, seguito costantemente dalla dott. G. Maruggi coadiuvata dalla dott. G. Russo, ha messo in luce tre trincee di fondazione, ricavate nel banco di roccia, relative, certamente, alle cortine murarie della cinta fortificata. A m 11,50 ad est dell’ultima trincea, è stato rivenuto, a conferma dei dati forniti dal Viola e dal Lo Porto, il «canalone» o fossato, largo m 12, il cui scavo è stato sospeso alla profondità di m 3 per la comparsa della falda acquifera. Il fossato, delimitato sui due lati dal banco di roccia, non presenta però evidenti tagli artificiali, facendo ritenere che, in questo punto, fosse sfruttata una gola naturale.
La costante sorveglianza dei numerosi lavori urbani ha permesso di seguire lo scavo di una trincea per la messa in opera di un grande collettore da parte dell’Acquedotto Pugliese, in via Ciro Giovinazzi, cioè nell’area dell’abitato greco e romano. Si è potuto verificare quanto già affermato dal Viola: «in quella stessa località di Montedoro… per eseguire i nuovi fabbricati al livello, che impone il piano regolatore del Borgo, bisogna abbassare il piano della campagna di circa tre metri… e spesse volte si deve tagliare anche la roccia … ».
Realmente si è potuto riscontrare che il banco di roccia affiora, livellato, immediatamente al di sotto della massicciata stradale e che quindi la sistemazione ottocentesca del Borgo ha, in queste zone, completamente distrutto, come afferma il Viola, le strutture abitative, relative sia alla fase greca che a quella romana.
È stato, comunque, possibile individuare, nel tratto tra via Pitagora e corso Umberto, due pozzi di età greca a canna circolare con tacche incavate all’interno.
Interessante ed imprevisto è stato, inoltre, il rinvenimento, nel tratto tra via d’Aquino e via Anfiteatro, del basamento di un altare, probabilmente relativo al complesso di S. Maria della Misericordia, con annesso Monastero dei Carmelitani e lazzaretto, che almeno dalla fine del XVI secolo occupava l’area dell’attuale Chiesa del Carmine.
L’esame stratigrafico di questo tratto della trincea rivela la presenza in questa zona di un declivio verso il Mar Grande e quindi la possibilità che su questo lato della città antica possano essersi conservati, al di sotto dei livelli medievali, gli strati romani e greci.
Uno scavo di notevole interesse è quello intrapreso in un cantiere tra via Aristosseno e via Tesoro, sotto la direzione del dott. A. Alessio, coadiuvato dalla dott. T. Schojer. L’interesse particolare di quest’area è dato dalla presenza di strutture abitative al di sopra della necropoli. Si è potuto osservare, così, con dati sicuri, il progressivo allargamento dell’abitato di età ellenistica in zone precedentemente adibite a necropoli. Di questa sono state individuate tre tombe a semplice fossa terragna, delle quali la T. 2 era stata trasformata per la costruzione di una cisterna e la T. 1 intaccata dallo scavo di un pozzo circolare. La T. 1 ha restituito, comunque, un aryballos piriforme del tardo Protocorinzio. All’interno del pozzo è stato recuperato, invece, materiale del IV e III secolo a.C., tra cui si segnalano un didramma di Taranto (270-250 a.C.) ed una moneta bronzea della zecca di Neapolis, con testa maschile laureata sul D/ e tripode sul R/, databile al 300-260 a.C. Tali strutture, sigillate da un ampio crollo di tegole, si ricollegano ad altre più numerose messe in luce nella zona orientale. Tra le une e le altre si è rinvenuta una fossa di scarico rettangolare, che ha restituito, fra l’altro, un’hydria acroma e grossi frammenti di anfore del tipo greco-italico e greco-orientale, che hanno permesso la ricostruzione di sei esemplari; uno di questi reca sull’ansa il bollo HERAKL, in senso sinistrorso; interessanti anche due antefisse, di cui una completa a testa di Medusa. Al di sopra dello scarico si è rinvenuta un’imponente base circolare (h cm 66; diam. cm 62) di carparo, intonacata, ma senza tracce di pittura, con una cornice modanata aggettante, cui è sottoposto un fregio di metope e triglifi (tav. LII,l). La faccia superiore della base reca un incasso quadrato (cm 36 x 36), con foro centrale.
La parte inferiore, staccata dal resto, è costituita da un elemento circolare, impostato su una lastra quadrangolare. Una seconda fossa, poco distante dalla prima, più piccola, comprendeva terrecotte figurate, alcune delle quali policrome. Le strutture della zona orientate, articolate in ambienti quadrangolari, sono attribuibili certamente ad abitazioni (due fornelli, deposito di pesi da telaio); è stata individuata anche un’area scoperta, un cortile, comprendente al centro una fossa circolare, in cui veniva convogliata l’acqua piovana.
Alle strutture di questa fase si sovrappongono altre più recenti (struttura semicircolare); in seguito tutto viene spianato e ricoperto da un battuto in tufina. Una terza fase edilizia, che si sovrappone solo parzialmente alle due precedenti, è costituita da un’imponente struttura rettangolare in blocchi squadrati, talvolta reimpiegati. Sembra trattarsi di una corte lastricata, fiancheggiata a S da un ambulacro coperto. Alla luce dei dati emersi dalla prima campagna di scavo si può affermare che le strutture della I fase occupano buona parte del IV secolo a.C., mentre quelle della II fase risalgono alla prima metà del III. Per la III fase non si hanno al momento dati di cronologia certi. In questo contesto non mancano materiali del VI e V secolo a.C., anche antefisse con Gorgone, che ritengo appartenere alla necropoli ed alle strutture ad essa connesse.
Nell’angolo SE della stessa area si è svuotato un pozzo di forma quadrangolare, che ha restituito, fra l’altro, un elegante capitello figurato (h cm 20; diam. cm 27), con la scena di Ganimede rapito dall’aquila di Zeus, inserita in un intreccio di foglie di acanto (tav. LII,2); il tipo, già noto da altri prodotti tarantini, può datarsi ancora nel IV secolo a.C. Dallo stesso pozzo proviene un’antefissa integra raffigurante una testa femminile con berretto frigio.
Reperti e dati di conoscenza nuovi, relativi alla necropoli greca, sono stati tratti da altri quattro scavi.
Presso i margini orientali della città antica, in via Alto Adige – angolo viale Magna Grecia, uno scavo, seguito dalla dott. A. D’Amicis, ha messo in luce un lembo della necropoli, con 36 tombe, databili tra la fine del IV e la prima metà del III secolo a.C. Delle 36 tombe almeno quattro presentano, con certezza, il rito della cremazione, mentre le altre sono ad inumazione. Nel primo caso i resti combusti erano sparsi sul piano di deposizione; il che attesta che la cremazione non avveniva in loco e che le ceneri venivano trasportate dall’ustrina nella tomba. La coesistenza dei due riti funebri non sembra attribuibile a differenze sociali, data l’omogeneità dei corredi rinvenuti. È stata avanzata l’ipotesi che essa sia collegabile all’arrivo a Taranto di nuovi gruppi etnici (Macedoni, Epiroti), oppure al primo influsso romano, successivo al 272 a.C. Ritengo che sia ancora presto per formulare ipotesi attendibili, dal momento che differenze cultuali intervengono, com’è noto, anche nell’ambito di uno stesso gruppo sociale. Va rilevato, però, come l’affinamento dell’indagine archeologica e l’esame osteologico, più diffuso, rivelino, sempre più di frequente, la presenza del rito della cremazione, accanto a quello più comune dell’inumazione, sia in ambito indigeno (Daunia, Peucezia), sia in ambiente greco, con particolari rituali diversi (semicremazione; cremazione nella fossa; ustrina con deposizione secondaria dei resti). Fra i corredi di via Alto Adige si distingue per abbondanza e ricchezza di oggetti quello della T. 33, relativa ad una deposizione femminile (tav. LIII,l). Essa conteneva, fra l’altro, un’oinochoe dello stile di Gnathia, uno specchio di bronzo, un manufatto di ferro (forbici o compasso?), un orecchino d’oro ad elice, terminante con teste femminili con berretto frigio (tav. LIII,2), un anello con castone inciso (Eros, o meglio Kairòs), 15 roselline d’oro con decorazione in filigrana e cilindro con foro passante sul retro, due fermagli fitomorfi pure in filigrana d’oro, un castone in calcedonio, inciso, raffigurante una gazzella assalita da un grifo (tav. LIV,1).
Il corredo può essere datato nella prima metà del III secolo a.C.
La presenza di resti di cremazioni, deposti in fosse cavate nel banco tufaceo, è stata osservata anche in uno scavo effettuato all’interno della Caserma D’Oria, non lontano da via De Carolis, dove nel 1979 furono recuperate 120 tombe. Questo scavo, seguito dalla dott. G. Maruggi, ha messo in luce 48 tombe databili dal V al III secolo a.C. Fra i reperti, ci si limita a segnalare uno skyphos a vernice nera (tav. LIV,3), ancora del V secolo a.C., con l’iscrizione graffita ΠΟΛΕΝΟΣ: e un anello d’argento con castone mobile, costituito da una corniola a forma di scarabeo, recante incisa, sulla faccia piatta, la figura di un toro (tav. LIV,2); l’anello è databile nella seconda metà del IV secolo a.C.
Un altro scavo è stato effettuato in via Dante, dove sono state scoperte tredici tombe a fossa e due a semicamera, con controfossa; tutte si datano tra gli ultimi decenni del IV e gli inizi del III secolo a.C. Allo stesso periodo si ascrive la necropoli in corso di scavo in via Magnaghi, non lontano dal sito dell’ex-Arena Italia, del cui scavo detti notizia nel corso del XXI Convegno.
Molto importanti, ai fini della ricostruzione topografica di Taranto in età romana, sono i dati emersi da uno scavo condotto dalla dott. A. Dell’Aglio in via Minniti, tra via Oberdan e via Mazzini, in una zona risparmiata dall’urbanizzazione degli anni ’30 e ’40. Questo intervento ha permesso, infatti, di indagare un lembo dell’abitato riferibile con molta probabilità, alla Colonia Neptunia del 123 a.C. L’abbondanza di frammenti di ceramica a pasta grigia, di ceramica tardo-ellenistica a vernice rossa, di coppe di tipo megarese, consentono, insieme alla tecnica costruttiva dei muri, di datare l’impianto tra la fine del II ed il I secolo a.C. L’ubicazione dei resti romani, rinvenuti in tempi diversi in corrispondenza di via Minniti e di via Leonida, rivela una cesura netta tra l’abitato, che si estende verso occidente e la necropoli; d’altra parte la prosecuzione del muro, individuato dal Mariani, nell’area antistante l’ingresso all’ Arsenale Militare, dovrebbe ricadere immediatamente ad oriente della zona indagata. Nel corso dello scavo è stato possibile verificare una frequentazione dell’area sin dalle fasi di vita arcaiche (pochi frr. di coppe ioniche a filetti e di ceramica corinzia); inoltre il rinvenimento di frammenti architettonici connessi con la necropoli greca (naiskoi) e di frammenti ceramici tipici delle suppellettili funerarie di IV-III secolo a.C., lascia supporre che la zona sia stata adibita a necropoli dal periodo arcaico fino all’avanzato Ellenismo.
L’area indagata, interrotta al centro da una «vasca per calce» moderna, consta di due nuclei distinti: l) quello orientale destinato ad ambienti chiusi, realizzati con muri in opus incertum, con l’utilizzazione di materiale di reimpiego; si conservano in situ lembi di intonaco e di pavimento in signinum; 2) l’area occidentale. parzialmente lastricata, destinata con molta probabilità ad attività produttive (tav. LV,l). In quest’area si aprono pozzi ed una cisterna collegati tra loro con un ingegnoso sistema di canalizzazione delle acque. Il rinvenimento di una notevole quantità di argilla e di alcuni «pani», ancora in situ, oltre a diversi distanziatori e pestelli fittili scaricati nella cisterna nel momento dell’abbandono, lascia supporre la vicinanza di un impianto per la produzione di ceramica. D’altra parte nella zona furono trovati, in passato, resti di fornaci e scarichi di materiale ceramico. Le strutture abitative sembrano essere state utilizzate fino alla prima età augustea, quando l’area fu abbandonata, forse in vista di una nuova sistemazione urbanistica. La frequentazione del sito pare, però, cessare nel I secolo d.C. (pochi frr. di ceramica sigillata italica).
Prima di terminare la descrizione degli scavi di Taranto, che richiedono le assidue cure dell’Ufficio per tutto ilcorso dell’anno, faccio un breve accenno ad un intervento effettuato nella Città Vecchia sotto le strutture dell’ex-Seminario Arcivescovile. All’interno di una stratigrafia sconvolta e rimaneggiata dalle fondazioni di strutture di età medievale e moderna si sono trovate interessanti testimonianze della storia di Taranto: frr. del Geometrico Iapygio tardo, relativi al villaggio indigeno, che precede la fondazione della colonia spartana ed un frammento di kylix con ornati a sigma, protocorinzia, databile a cavallo tra l’VIII ed il VII secolo a.C., cioè al momento del primo insediamento greco. Tralasciando di segnalare le successive testimonianze di età greca e tardo-romana, abbondante è ancora la presenza di ceramiche tardo-medievali in maiolica, che vanno dal XIV fino al XVI secolo.
E.M. DE JULIIS