1984
Anche quest’anno sono stati numerosi gli interventi di emergenza effettuati dal nostro Ufficio nell’area urbana di Taranto, che hanno apportato nuovi dati sulla necropoli e sull’abitato di età greca.
In corso Piemonte, presso il numero civico 89 B, è stata scavata una tomba a fossa, ricavata nello strato più superficiale del banco roccioso e coperta da un unico lastrone di carparo. Il corredo era costituito da vasi mesocorinzi (una pisside, diciannove skyphoi, un amphoriskos, e tre alabastra) e greco-orientali (un lydion, un balsamario plastico, una coppa «ionica»), distribuiti parte all’interno della fossa e parte al di sopra del lastrone di copertura (Tav. XLIX,l). Altre due tombe, coeve alla precedente, sono state scoperte in un cantiere edile di via Cagliari (Propr. Marangi). La prima (n. l/84) conteneva uno skyphos mesocorinzio con teoria di animali; la seconda (n. 2/84), una coppa «ionica» ed uno skyphos sempre corinzio, di piccole dimensioni. Pure, probabilmente, ad età arcaica è attribuibile un setto murario, in opera isodomica, inglobato nelle strutture del bastione settentrionale del Castello Aragonese e messo in luce durante i recenti lavori di restauro condotti dal Comune. Il ritrovamento assume una notevole importanza, trattandosi, quasi certamente, di una parte della cinta di difesa dell’acropoli tarantina, davanti all’istmo.
Dopo i ritrovamenti sporadici sin qui menzionati, è opportuno soffermarsi su tre scavi sistematici, effettuati ugualmente nell’ambito della città di Taranto.
Il primo è stato condotto a via Magnaghi dalla dott. Antonietta Dell’Aglio. Nell’area è stato possibile individuare una serie di apprestamenti di età arcaica: tagli regolari nel banco di roccia, relativi setti murari ed ancora alcuni pozzi, di cui due forse già fuori uso dal V secolo a.C. In quest’area tale fase cronologica è documentata da una tomba a fossa irregolare (n. 18), tagliata nello strato superficiale del banco tufaceo e coperta da un unico lastrone di carparo. La fossa conteneva i resti di un individuo giovane ed il corredo consisteva in tredici vasi di produzione corinzia (otto aryballoi globulari, un aryballon a spicchi e quattro alabastra), databili intorno al 580 a.C.
Al V secolo a.C. sono riferibili altre sepolture. La tomba n. 23, a fossa ricavata nel banco roccioso, con cuscino presso una delle estremità e copertura formata da due lastroni, ha restituito, oltre ai resti di un inumato, una coppa attica a figure nere, riconducibile alla cerchia del «Pittore di Haimon», associata con un alabastro n (Tav. XLIX,2). La tomba è, quindi, databile alla fine del primo venticinquennio del V secolo a.C. La tomba n. 32 conteneva un kantharos a vernice nera di tipo attico della fine del V secolo a.C. Nel IV-III secolo a.C., l’area del cantiere di via Magnaghi appare occupata parte da strutture abitative, talvolta certamente destinate ad attività artigianali, e parte dalla necropoli. Alle prime sono riferibili numerosi silos e pozzi a pianta circolare e rettangolare, ricavati nel banco di roccia e costruiti, nella parte superiore, con pietrame a secco. Si è individuato, inoltre, un complesso sistema di canalizzazione delle acque, convogliate nei diversi pozzi, spesso intercomunicanti, attraverso ampi ambienti sotterranei. La presenza di un’attività artigianale, connessa con la produzione ceramica, è documentata da una vasca per la decantazione dell’argilla e da una fossa di scarico piena di residui argillosi più consistenti, oltre che da impastatoi e da grumi di argilla vetrificata, raccolti in abbondanza in tutta l’area. La necropoli, coeva alle strutture sopra descritte, è limitata ad una stretta fascia orientata in senso nord-sud, comprendente due distinti nuclei di tombe. Quello più settentrionale, contiguo alle tombe del V secolo, è il più antico ed abbraccia tutto il IV secolo. La tipologia è costante; troviamo tombe ad inumazione, dentro fosse tagliate nel banco roccioso, coperte, generalmente, da due lastre. Fa eccezione la tomba n. 29, a cassa litica, il cui corredo è inquadrabile alla fine del primo venticinquennio del IV secolo, per la presenza di un’oinochoe a pula a figure rosse con menadi, attribuibile al gruppo dell’Adolphseck Painter.Il nucleo di tombe del settore meridionale dello scavo si pone tra la fine del IV ed il III secolo a.C. e si differenzia dal primo per la presenza anche di sepolture a semicamera, con nicchia-ossario. I corredi comprendono soprattutto ceramica dello stile di Gnathia ed a vernice nera, strigili e, in tre casi, diademi funerari di bronzo dorato (tombe n. 3, 4, 5).
Il secondo intervento sistematico è costituito dalla prosecuzione dello scavo di via Aristosseno, già illustrato l’anno scorso e proseguito sotto la direzione del dott. Arcangelo Alessio, coadiuvato dalla dott. T. Schojer. Come si ricorderà, l’interesse di quest’area è dato dalla sovrapposizione dell’abitato tardoclassico ed ellenistico alla necropoli di età più antica. Al primo sono riferibili numerosi pozzi e cisterne, il cui svuotamento ha dato spesso pregevoli reperti (Tav. L,l). Dall’interno di una grande cisterna a campana (P. 8) provengono quattro antefisse integre, raffiguranti un volto femminile di pieno prospetto, adorno di orecchini troncopiramidali, ed ancora una maschera fliacica a tutto tondo con abbondanti tracce di policromia. Tutto il materiale di riempimento è inquadrabile nella seconda metà del IV secolo a.C. Nella stessa zona un complesso di strutture murarie è apparso circondato da un’area scoperta, comprendente tre cisterne. Dall’interno di una di esse sono stati tratti numerosi frammenti ricomponibili di rilievi votivi policromi, raffiguranti una divinità femminile ed inoltre frammenti di grossi contenitori, tra i quali uno con l’iscrizione graffita Ari, e due colli di anfore greco-italiche, di cui uno con bollo rettangolare Ⓢ. Il proseguimento dello scavo, peraltro ancora in corso, in questa vasta area, sta confermando sempre più e meglio il quadro ricavato dai primi sondaggi. Lo svuotamento recente di quattro fosse di scarico nella parte centrale del cantiere ha dato esclusivamente ceramica arcaica (corinzia, coppe «ioniche», un frammento protocorinzio) che, insieme ad antefisse di «tipo orrido» già precedentemente recuperate, testimonia l’uso dell’area in età arcaica come necropoli. La sovrapposizione ad essa dell’abitato del IV-III secolo a.C. è provata dalle strutture murarie e da quelle connesse alla raccolta ed alla conservazione dell’acqua. Il carattere artigianale del quartiere è giustificato dalla posizione periferica di esso, dal rinvenimento di vaschette per la decantazione dell’argilla e, ultimamente, di numerose tuyères fittili, cioè di bocche di mantice per forno siderurgico, che, insieme a zone fortemente bruciate e ricche di scorie di ferro, testimoniano la presenza di fucine di fabbri.
Il terzo scavo sistematico è quello di via Minniti, anch’esso già iniziato l’anno scorso ed ampiamente illustrato in questa stessa sede.
La frequentazione del IV-III secolo a.C. è stata meglio documentata (Tav. L,2), così come sono stati raccolti altri elementi relativi all’età tardorepubblicana. Notevole in questo contesto è il ritrovamento di una strada, con due fasi costruttive, di cui almeno la più recente orientata in senso N-S, cioè secondo la maglia ortogonale già individuata nell’impianto urbanistico della città. Al primo quarto del II secolo a.C. si può assegnare la tomba n. 4, a semicamera, parzialmente ricavata nella roccia e costruita nella parte superiore. La tomba presentava le pareti intonacate ed affrescate con un motivo di ghirlande a festoni, azzurre, collegate con fiocchi rossi. Il corredo, riferibile ad un’unica inumazione, comprende, tra l’altro, unguentari del tipo V Forti.
Meglio documentata è, inoltre, sia la fase abitativa del II e I secolo a.C. (domus), sia quella della necropoli romana. Ad essa, con una datazione tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del successivo, si possono assegnare due tombe, di cui una (n. 2) ad incinerazione, contenuta in un’anfora, con un corredo formato da cinque balsamari fittili.
Prima di lasciare gli scavi di Taranto mi sembra interessante dare un cenno su una scoperta avvenuta durante il lavoro di restauro di materiali recuperati nel 1983. In un breve intervento effettuato nel cortile dell’Istituto Tecnico «Righi», furono recuperati numerosi fittili, soprattutto architettonici, provenienti da uno scarico.
Da questi è venuta fuori ricomposta un’anfora chiota degli inizi del III secolo a.C., con il seguente titulus pictus sulla spalla: ora æφóroυ ᾽Arιστoδάμoυ. Qualora quest’iscrizione fosse un’indicazione doganale del porto tarantino, come si suppone, essa rappresenterebbe la prima attestazione epigrafica, proveniente da Taranto, del locale eforato.
In ambito preistorico, ma ancora nel territorio tarantino e precisamente a Statte, si pone, invece, un breve intervento di recupero effettuato dalla dott. M.A. Gorgoglione. Da privatì appassionati era stata segnalata l’esistenza di scavi clandestini in un’area già nota per la presenza del dolmen a galleria di Accettula, o Accetta Piccola.
Il nostro intervento si è concentrato su una tomba a tumulo, già manomessa, ma ancora abbastanza ben conservata. Il piccolo tumulo, del diametro di circa 8 metri, copriva una tomba a cista, orientata in senso N-S, con la testata N disposta a ridosso di uno sbalzo roccioso e le fiancate costituite da lastroni ortostatici informi e da un muretto di pietre a secco; la testata S risultava sconnessa.
Presso la testata N era presente anche un breve gradino, adatto ad appoggiarvi la testa. I resti ossei, in gran parte manomessi, erano pertinenti a due individui adulti. Sul lato destro (Est) della sepoltura era presente, inoltre, una pozzetta delimitata da pietre, contenente una tazza carenata d’impasto. Un’altra piccola tazza monoansata, non in giacitura primaria, fu rinvenuta sul lato sinistro della cista; esse costituiscono gli unici elementi superstiti del corredo e ci riportano ad un orizzonte cronologico, che si collocata tra la fase Recente e quella Finale dell’età del Bronzo.
ETTORE M. DE JULIIS