Dal 1981 al 1990

1985

Come di consueto, gli interventi di scavo condotti nell’area urbana di Taranto hanno avuto carattere fortuito e di urgenza, in connessione con l’intensa attività edilizia legata all’espansione della città ed alla ristrutturazione di vecchi edifici, o in rapporto con la realizzazione di impianti di pubblica utilità lungo le sedi stradali.

Per rendere compatibili i tempi delle nostre indagini con le esigenze dei vari Enti o delle diverse Imprese, si è dovuto spesso giungere ad accordi che non sempre hanno potuto garantire la completezza della ricerca archeologica.

Le particolari condizioni di scavo hanno consentito di ricavare pochissimi dati sull’abitato, a causa della difficoltà di stabilire eventuali rapporti fra le strutture che emergevano nelle strette trincee aperte lungo le sedi stradali, come nel caso dei setti murari e dei numerosi pozzi, silos e cisterne individuati lungo il percorso della condotta idrica destinata all’Ospedale Civile SS. Annunziata, su via Crispi.

L’elemento interessante dal punto di vista dell’interpretazione storica dei dati frammentari scaturiti da questo scavo consiste nel riscontro di una sostanziale omogeneità fra i materiali utilizzati per il riempimento delle varie strutture destinate alla riserva idrica o alimentare: essi sono inquadrabili prevalentemente in età tardo-repubblicana e permettono di collocare la fase di occlusione dei pozzi e dei silos nel periodo giulio-claudio, epoca alla quale si deve probabilmente riferire una fase di profonda ristrutturazione urbanistica. Il rinvenimento acquista un interesse particolare anche per l’attestazione di classi ceramiche come la pasta grigia a vernice nera, la vernice arancio, le pareti sottili, oltre a un’ampia campionatura di lucerne, tutte classi ricollegabili all’intensa attività di un artigianato locale.

Un saggio, condotto nel cortile di uno stabile sito in via Diego Peluso 21-23 (tav. XXXIII,1), ha permesso di individuare un tratto di strada orientata in senso est-ovest secondo la maglia ortogonale documentata per la città tardo-repubblicana ed imperiale. Un altro settore della stessa strada pare si possa riconoscere in un battuto scoperto nel 1982 in via Leonida. Si tratta quindi di un percorso viario che prosegue nell’area destinata a necropoli, immediatamente ai margini della zona abitativa.

Delle tre fasi di utilizzo riconoscibili, la prima consiste in un battuto di cocciopesto impostato direttamente sul terreno sterile. Ad esso si sovrappone il secondo livello di frequentazione, più curato dal punto di vista costruttivo, costituito da un basolato di blocchi di carparo cementati da un sottile strato di cocciopesto; la strada è delimitata sul lato nord, l’unico sinora messo in luce, da una banchina, mentre la presenza di una fascia libera dalle basole indica l’esistenza di una cunetta per il deflusso delle acque. Ad un livello superiore, un ulteriore cocciopesto segna un rifacimento di questo tratto viario.

Circa la datazione, non si possono ancora avanzare proposte precise. Si può affermare, comunque, che il primo impianto non può essere più antico del III secolo a.C., in base ai reperti ceramici ed alle caratteristiche strutturali. La fase successiva, con basolato e banchina, inquadrabile in età tardo-repubblicana, dovrebbe essere contemporanea all’impianto di una tomba a camera con arco (di cui parleremo più oltre), sita circa 3 metri più a nord e con essa perfettamente orientata.

In via Pola, lavori connessi con la realizzazione della rete idrica urbana hanno messo in luce la prosecuzione verso est di due setti murari già individuati nel 1983, paralleli a una distanza di m 3,50/3,60 l’uno dall’altro, larghi circa 2 metri e costruiti con blocchi di pietra tufacea.

Per quanto il nuovo rinvenimento confermi la prosecuzione dei due allineamenti verso est per un tratto complessivo di m 6,00 ca., permangono tuttora perplessità sul carattere del monumento, che si presta a più interpretazioni. Senza escludere completamente la connessione con il sistema difensivo della città, a cui lasciano pensare l’imponenza della struttura e la tecnica costruttiva, la presenza nelle immediate vicinanze di sepolture non esclude una eventuale pertinenza ad un edificio monumentale di carattere funerario. In particolare, nel corso dello scavo si è messa in luce una tomba a fossa rivestita di lastroni, già violata, che ha restituito frammenti di un’anfora di tipo greco-italico con iscrizione incisa sulla spalla ST, inquadrabile tra il III e il II secolo a.C.

Passando alla necropoli, gli interventi hanno interessato non soltanto la zona ben nota ad oriente dell’abitato, ma anche l’area occidentale della città moderna, al di là del canale naturale.

Al margine nord del quartiere Tamburi, per esempio, in via Archimede, sono state indagate cinque tombe ed un bothros, inseribili in un tratto molto più ampio di necropoli, utilizzata a quanto sembra fra la fine del IV e il III secolo a.C. È stato così possibile riscontrare caratteristiche già notate in alcuni settori della grande necropoli orientale, per esempio durante lo scavo del 1983 di via Alto Adige. Elementi di particolare interesse sono la commistione nello stesso ambito cronologico dei riti funerari dell’inumazione e dell’incinerazione e, per la tomba n. 3, la compresenza di un individuo incinerato e di un enchytrismos relativo ad un neonato o ad un soggetto in età prenatale, già riscontrata nel caso delle deposizioni 26 e 27 di via Alto Adige.

Nell’ambito della necropoli urbana, ad est della città, risale alla fine del V – inizi del IV secolo a.C. un nucleo di otto tombe scoperte in un’area edilizia di vico S. Giorgio, tutte del tipo a sarcofago deposto in fosse scavate nella roccia. La maggior parte risultava già depredata, mentre delle due sepolture non violate, una era senza corredo, l’altra ha restituito sei fibule di argento e due alabastra di alabastro.

Gli altri scavi hanno interessato la frequentazione del primo e medio ellenismo. Si è operato in via Toscana, in via Emilia, a ridosso delle mura greche, in via Messa pia, in via Valle d’Aosta e in via Friuli, recuperando dati utili per un tentativo di ricostruzione del rituale funerario del periodo.

Un cenno particolare merita il rinvenimento, cui si è già accennato, nel cortile di uno stabile sito in via Diego Peluso, di una tomba a camera (tav. XXXIII,2) con arco e doppia kline lungo i lati ovest e sud; un tipo di tomba rinvenuto a Taranto recentemente in via Dante, ma in precedenza scoperto anche in via Polibio, via Marche, via Cesare Battisti e via Oberdan (quest’ultima scavata nel 1952, sita all’angolo con via Diego Peluso e quindi a pochi metri da quella ancora in corso di scavo).

In queste tombe, una struttura ad arco ripartisce in due settori lo spazio ipogeico della camera funeraria, fungendo da sostegno centrale per i lastroni della copertura; all’interno, la disposizione delle klinai varia, ma si tratta sempre di elementi intagliati nel banco tufaceo e non costruiti, che derivano ancora dalla tradizione tarantina del IV e del III secolo a.C., ma con uno sviluppo decorativo più limitato.

La camera funeraria di via Diego Peluso presenta anche uno stretto dromos sul lato orientale, la cui indagine è tuttora in corso e di cui non sono state ancora individuate le dimensioni. La costruzione originaria deve porsi, per analogie strutturali con le altre tombe monumentali citate, tra la fine del III e il II secolo a.C. Le fasi di scavo hanno permesso di individuare una riutilizzazione dell’ipogeo nel corso del I secolo a.C., quando è stato costruito un muretto a secco a ridosso dell’arco, tagliando a metà lo spazio fruibile e la kline meridionale; nella zona occidentale è stato ricavato, così, uno spazio destinato a raccogliere i resti di diversi individui incinerati, appartenenti alla famiglia dei Cossutii.

Due delle cinque olle rinvenute nella tomba presentano, infatti, attestazioni epigrafiche che restituiscono il gentilizio dei defunti. Un’olia presenta una formula onomastica maschile dipinta in nerobruno: del praenomen rimane la traccia di una lettera con una barra obliqua che potrebbe essere interpretata come M; il nomen Cossutius, invece, si legge chiaramente, anche se le prime tre lettere sono in parte evanide. Maggiori problemi di lettura pone la seconda olia (tav. XXXIV,l) con iscrizione dipinta, rinvenuta sulla kline occidentale in frammenti. In questo caso si legge chiaramente Cossutiae osuca; se per la prima parola ci troviamo di fronte ad un nomen al genitivo femminile, forse relativo all’incinerata, non è semplice l’interpretazione della seconda parola: più che di una formula abbreviata, si tratta probabilmente di un idiotismo di difficile comprensione.

L’uso del settore occidentale della tomba, sulla base del corredo trovato con le cinque incinerazioni (tav. XXXIV,2), deve essere datato tra la fine del II e la prima metà del I secolo a.C. Il rinvenimento di una patera a vernice nera e pasta grigia, assimilabile ad un tipo già noto nella classificazione della Giardino\ e di un piatto a vernice rossa interna conferma questa cronologia, suggerita anche dagli unguentari di tipo V e dalle sette lagynoi recuperate.

La metà orientale della camera, privata della copertura, e la parte anteriore del vestibolo sinora individuata, in seguito alla costruzione del muro centrale sono state utilizzate per l’ustrinum, di cui si sono riconosciute cospicue tracce. La fase precedente di utilizzo, connessa certamente al rito della inumazione per la presenza delle klinai, non ha restituito finora elementi, eccetto alcuni resti di un inumato, di cui si è conservata la calotta cranica nell’angolo sud-est della kline meridionale.

Le soluzioni interpretative proponibili sono due: potrebbe una tomba gentilizia postannibalica, riutilizzata dopo la fondazione della colonia del 123 a.C. da una famiglia giunta a Taranto in quest’occasione; potrebbe ipotizzarsi una continuità nella proprietà della tomba monumentale dall’età postannibalica fino al secondo quarto del I secolo a.C., con una trasformazione degli usi rituali avvenuta forse in coincidenza con la fondazione della colonia graccana e con una conseguente nuova utilizzazione dello spazio disponibile.

A favore di questa seconda ipotesi concorrono il rispetto della tomba in sè e la conservazione dei resti ossei di almeno un inumato.

Di particolare interesse risulta l’attribuzione di una tomba a camera tarantina, per la prima volta, ad un gruppo familiare noto da iscrizioni: in questo caso, tra l’altro, una gens latina. I Cossutii, finora non attestati a Taranto, appaiono con una sepoltura monumentale di età tardorepubblicana (almeno dalla fine del II alla metà del I secolo a.C.) proprio nel periodo di maggiore fortuna per questa famiglia.

Attualmente, è impossibile stabilire eventuali rapporti di parentela con i Cossutii ben noti nell’Egeo, anche se il praenomen Marcus, qualora fosse accertato sulla nostra olla, potrebbe testimoniare a favore di questa tesi. La recente proposta di ricostruzione delle vicende e degli interessi commerciali dei Cossutii, avanzata da M. Torelli, rende particolarmente importante il rinvenimento di Taranto, per la datazione alta, ancora tardo-repubblicana, e per la presenza della famiglia in una città portuale come Taranto, che mantiene un ruolo di rilievo anche in questo periodo.

GIUSEPPE ANDREASSI