Dal 1991 al 2000

1995

Venendo a Taranto, al confine col territorio di Grottaglie, nelle aree adiacenti alla Masseria Ferrara immediatamente a nord del seno di Levante del Mar Piccolo, l’espianto di un uliveto aveva evidenziato diverse zone riferibili ad abitato, in quanto caratterizzate in superficie dalla presenza di frammenti fittili inquadrabili da età ellenistica fino ad età romana imperiale.

La natura dell’intervento, finalizzato prevalentemente alle esigenze di tutela, ha richiesto l’apertura di diversi saggi con lo scopo di definire i limiti del sito archeologico, nonché l’ambito cronologico d’impianto e di sviluppo. Nella parte più alta dell’area indagata, sono state così messe in luce diverse unità abitative, in cui sono riconoscibili ambienti con aree destinate alla cottura, veri e propri fornelli realizzati con frammenti fittili disposti in piano e delimitati da frammenti di tegole. I muri perimetrali risultano realizzati prevalentemente a secco con pietrame di medie e piccole dimensioni, rozzamente squadrato, con zeppe di scaglie di pietra e tegole; sono rilevabili, spesso, anche la presenza di fasi costruttive distinte e l’inserzione di materiale di spoglio. Grandi blocchi parallelepipedi, documentabili in ciascuno dei nuclei insediativi individuati, sembrano avere svolto la funzione di soglie. Negli ambienti con focolare, il piano di calpestio, distinguibile soltanto a tratti, si presenta in terra battuta. Non sono stati individuati altri pavimenti, sebbene vada ricordato il frequente rinvenimento di tessere di pietra.

L’area meglio conservata e particolarmente interessante si è rivelata quella meridionale, dove è stato possibile indagare solo parzialmente un complesso sistema di riserve idriche e probabilmente anche alimentari, che per sviluppo e dimensioni parrebbe essere stato utilizzato dall’intero insediamento. A sud di un muro realizzato in una tecnica che potrebbe definirsi “a catena”, si sviluppa una lunga vasca a pianta rettangolare, almeno parzialmente scavata nel banco di roccia, con fondo impermeabilizzato e pareti ricoperte da malta idraulica. Parallelamente a tale vasca, è stata solo parzialmente scavata una struttura di cui non si sono potute definire le dimensioni, in tutti i casi notevoli. La parete nord risulta tagliata in maniera regolare nel banco per oltre sei metri, mentre un piano pavimentale assimilabile all’opus signinum ne riveste il fondo roccioso. Il riempimento, inquadrabile ad un primo esame del materiale fra il V ed il VI secolo d.C., pare omogeneo ed è caratterizzato da strati terrosi e da blocchi provenienti probabilmente dalla distruzione delle abitazioni limitrofe. Non essendo completamente impermeabilizzata, la struttura potrebbe aver svolto funzioni di deposito per derrate alimentari, che, se collegabili a produzioni dello stesso nucleo insediativo, risulterebbero di notevole rilevanza per la conoscenza dell’economia agricola dell’area tarantina fra i secoli centrali dell’Impero e l’Alto Medioevo.

Le caratteristiche di sviluppo planimetrico, così come la forte incidenza svolta dalle strutture connesse con le riserve idriche e alimentari, parrebbero configurare l’insediamento come un vicus, sviluppatosi fra il III e il IV secolo d.C. nell’entroterra tarantino, servito da un articolato sistema viario di collegamento con la costa del Mar Piccolo e con gli altri insediamenti agricoli del territorio. L’abbandono e la conseguente distruzione del villaggio vanno posti in un momento che andrà meglio definito attraverso l’analisi dei materiali, inquadrabile fra il V e, più probabilmente, il VI secolo d.C.

L’intensa documentazione fittile, che attesta una frequentazione del sito a partire dal III secolo a.C. avanzato, con punte di maggiore attestazione in età tardorepubblicana (pasta grigia) e prima età imperiale (terra sigillata italica), potrebbe essere messa in relazione con la presenza di una villa rustica di cui finora non è stato possibile riscontrare presenze concrete, ma a cui potrebbe ricollegarsi il materiale di spoglio.

Nel territorio urbano di Taranto, la tutela è stata esercitata, per quanto consentito dalle informazioni e dal personale disponibili, attraverso l’avvio di contatti con Enti, società e privati coinvolti in progetti di potenziamento dei servizi e in attività edilizie, al fine di concordare le modalità di intervento, concretizzatesi in saggi preventivi oppure nella sorveglianza continuativa delle attività di scavo nelle aree considerate più a rischio. Largo impiego di fondi e tempo è stato assorbito, inoltre, dalle attività di manutenzione straordinaria e di ricopertura dei resti messi in luce negli scorsi anni all’interno della Villa Peripato, sottoposti a degrado nelle more della definizione dei procedimenti giudiziari in corso, generati da un inatteso intervento della Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. di Bari.

Contestualmente, sono state incentivate le attività di promozione e di valorizzazione del patrimonio archeologico locale, in accordo con associazioni, soggetti pubblici e privati, allo scopo innanzi tutto di far conoscere e, laddove possibile, rendere fruibili concretamente le scarse emergenze antiche ancora conservate nel tessuto urbano di Taranto, ma “nascoste” all’interno di edifici pubblici o privati.

Nell’ambito di tale programma di recupero delle aree e dei monumenti superstiti, proseguendo l’iniziativa avviata lo scorso anno con la riapertura al pubblico della tomba arcaica “degli Atleti”, sono stati portati a termine i lavori di valorizzazione dell’ipogeo ellenistico di via Polibio 75, con la conseguente possibilità di visita su richiesta.

Nei limitati spazi di disimpegno, previsti a suo tempo nella progettazione dell’ambiente seminterrato in cui è conservata e da cui è accessibile la tomba, si è provveduto alla installazione di pannelli tematici contenenti le informazioni essenziali sulla scoperta nonché sull’organizzazione planimetrica e sullo sviluppo architettonico del monumento, la cui decorazione dipinta è stata anche oggetto di saggi di pulitura.

Sebbene le varie indagini stratigrafiche condotte a partire dall’ottobre 1994 abbiano contribuito non poco ad approfondire le conoscenze, a chiarire i dubbi e ad aprire nuove ipotesi di lavoro sulla colonia greca di Taranto, sulla sua chora e sui sistemi di approvvigionamento idrico urbano anche in età postantica (acquedotto del Triglio), sembra più opportuno soffermarsi ancora sull’intervento, peraltro già presentato al Convegno del ’94, che si è completato in via Marche, rivela tosi di particolare interesse sia dal punto di vista storico che topografico ai fini dell’approfondimento delle conoscenze sull’organizzazione urbanistica antica.

Ricollegandoci a quanto già segnalato l’anno scorso, la conclusione delle ricerche nell’area prospiciente il Palazzo di giustizia ha permesso di individuare oltre cento sepolture, distribuite, secondo un programma definito di organizzazione degli spazi, all’interno di uno dei settori più rappresentativi della necropoli tarantina tardoclassica ed ellenistica, in un’area che risulta, però, destinata ad usi funerari già dalla fine del VII o dalla prima metà del VI secolo a.C.

La riorganizzazione urbanistica della città, inquadrabile nel V secolo a.C. e in seguito alla quale si registra una nuova definizione dello spazio urbano attraverso la creazione del sistema difensivo, l’ampliamento dell’abitato, la creazione di isolati regolari basati su un tessuto stradale ortogonale esteso alla necropoli, sembra infatti aver rispettato, in quest’area periferica, assi viari esistenti già in età arcaica, come documenta l’allineamento delle tombe 72, 73, 75, 76, 77.

Si sono potute individuare con sicurezza, infatti, tre strade, due N -S larghe oltre cinque metri, l’altra E-W, di cui è stato indagato il settore meridionale, da identificare con una vera e propria plateia. Resta incerta l’individuazione di un ulteriore asse E-W, che chiuderebbe a sud gli isolati paralleli identificati nell’area dello scavo, definendone pertanto le dimensioni in m 45 (N-S) x 30 (E-W). Tali isolati, nei cui punti nodali in prossimità degli incroci sono state messe in luce ben otto tombe a camera, risultano occupati progressivamente da lotti familiari di deposizioni, con continuità sino alla fine del III secolo a.C. e quindi, con evidenza, sino alla riconquista romana della città avvenuta nel 209 a.C.

Considerati, quindi, il notevole interesse archeologico del sito, la particolare ubicazione e l’esigenza di elaborare un progetto di area archeologica attrezzata, in tutti i casi al coperto, abbiamo avviato i necessari contatti operativi con l’Assessorato all’Urbanistica del Comune al fine di garantire e coordinare le iniziative più opportune per la valorizzazione e la fruizione pubblica di questo tratto di necropoli.

Si è giunti, pertanto, alla elaborazione di due progetti di massima che tengono conto sia delle esigenze di tutela dei resti antichi, soggetti a rapido degrado, sia delle esigenze di inserimento dell’area archeologica e delle sovrastrutture progettate nel contesto urbano limitrofo. Sembra comunque che l’Amministrazione Comunale abbia deliberato in questi giorni in favore dell’esproprio dell’area, indispensabile per ogni successiva determinazione.

GIUSEPPE ANDREASSI