1997
Per quanto attiene la chora immediatamente a ridosso della polis, va segnalato il rinvenimento 39 di una vasta area di cava di carparo, riconosciuta su un fronte di quasi 300 metri lungo l’attuale viale Unità d’Italia in direzione di Talsano, con blocchi squadrati ancora in situ ed ampie aree con scorie di lavorazione. La frequentazione accertata consente di proporne l’uso dall’età classica all’età ellenistica; inoltre, la collocazione dell’impianto estrattivo a poche centinaia di metri dalla cinta difensiva urbana, lungo il settore sud-orientale, concorre ad avvalorare l’ipotesi che esso sia stato utilizzato in rapporto con la costruzione del circuito murario di V secolo, pur rimanendo in uso anche successivamente.
Ancora, con le ricerche condotte negli ultimi mesi del 1996 nel sito di Lucignano in agro di Talsano, già individuato come sede di un insediamento a carattere rurale con annesse aree di necropoli sulla base di rinvenimenti di superficie, sono stati acquisiti altri dati utili alla ricostruzione del quadro insediativo della chora coloniale.
Sono state dunque riconosciute quindici sepolture. La tipologia prevalente è riscontrabile in un nucleo di tombe concentrate nella stessa area, organizzate probabilmente per ambito familiare, con fossa parzialmente scavata nella roccia, rivestita da lastre di calcarenite non sempre cavate in loco e ammorsate fra loro; tombe dislocate, sulla base dei pochi corredi superstiti, nel corso del IV secolo a.C. e fino agli inizi del successivo. Va segnalata la presenza di lettere (singole o doppie) in alfabeto greco incise sulle lastre di rivestimento in corrispondenza del piano di alloggiamento dei lastroni di copertura, rinvenuti non più in situ a seguito dei lavori agricoli.
Per le peculiari caratteristiche strutturali, si segnala la tomba 10, anch’essa violata, che sembra distinguersi dalle altre anche per collocazione cronologica. Si tratta, infatti, di un sarcofago con cuscino, copertura a lastre piane fornite di fori e di ganci in ferro funzionali alla messa in opera, inserito in una controfossa tagliata nel banco di roccia e rivestita da lastroni di carparo, in parte di riutilizzo. La posizione marginale rispetto agli altri nuclei di sepolture e l’utilizzo del sarcofago orientano verso una cronologia più alta.
Troverebbe quindi conferma l’ipotesi di un’occupazione del sito già nei primi decenni del V secolo a.C., resasi più stabile soltanto a partire dalla metà del IV, a seguito di un periodo di abbandono e di una più capillare distribuzione di insediamenti a carattere agricolo soprattutto lungo le principali direttrici viarie.
Per quanto riguarda l’ambito urbano di Taranto, una relativa novità ha rappresentato la collaborazione con la Regione e con il Comune per definire le linee programmatiche dei progetti di massima diretti alla valorizzazione dei siti archeologici della città, al fine di richiedere e, successivamente, di utilizzare al meglio i finanziamenti erogati dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Operativo Plurifondo (P.O.P.) e del Programma Operativo Multiregionale (P.O.M.).
Come principali interventi ricorderò il parco archeologico di Solito-Corvisea, con relativo sistema di collegamento stradale; l’area archeologica di Villa Peripato; quella di largo S. Martino nella Città Vecchia. Altri progetti sono invece già in corso di attuazione: per citare quelli di esclusivo o prevalente interesse archeologico, la sistemazione dell’area di via Marche e quella degli ipogei paleocristiani e altomedievali sotto palazzo Delli Ponti.
In via Marche, in particolare, si è proceduto tra la fine di luglio e gli inizi di settembre al completamento dello scavo negli spazi interessati dalla sistemazione ad area archeologica attrezzata, mettendo in luce altre quaranta sepolture, che hanno confermato i dati già acquisiti circa la pianificazione delle aree adibite a scopi funerari lungo le direttrici viarie già tracciate, a partire dall’età arcaica fino al III secolo a.C., attraverso un sostanziale rispetto, nel corso dello sviluppo diacronico della necropoli, delle zone già assegnate ed occupate dalle sepolture più antiche. Per il periodo arcaico si ricorda la tomba 115, relativa ad una deposizione femminile, che ha restituito un ricco corredo con ceramiche d’importazione corinzia, una terracotta di tipo dedalico e due spilloni in argento della consueta tipologia attestata a Taranto.
Passando alla quotidiana azione di conoscenza e tutela, vanno rilevate ancora una volta le difficoltà operative tipiche di una città caratterizzata da una capillare presenza di resti antichi, senza che vi sia la possibilità di attuare, in mancanza di mezzi adeguati, un programma organico di ricerca.
Nell’ambito dei lavori di ristrutturazione e risaname1lto del centro storico, infatti, la necessità di saggi preventivi non viene riconosciuta in maniera sistematica dagli Enti interessati, ma dipende dalla sensibilità del progettista o del direttore dei lavori.
In molti casi, pertanto, si è costretti ad agire, a seguito di sospensione, in immobili già cantierizzati o quando il programma dell’intervento conservativo è in avanzata fase di organizzazione.
Con tali premesse, alcune ricerche sono state condotte nell’ambito dei lavori di ristrutturazione degli immobili che prospettano lungo salita San Martino, in aree, com’è noto, caratterizzate da una complessa stratificazione di origine antropica.
A partire dal quartiere Borgo verso oriente, i rinvenimenti sono stati determinati in prevalenza da lavori di pubblica utilità, soprattutto in funzione dell’adeguamento della rete telefonica alle nuove esigenze di collegamento telematico.
Sono stati operati, pertanto, scavi d’urgenza riferibili ad aree occupate propriamente dall’abitato antico o riferibili all’impianto urbanistico (pozzi in via Oberdan e via Pupino; battuto stradale in via Alto Adige), ad attività produttive (scarichi nell’area dell’Ospedale SS. Annunziata; fornace e cisterna fra via Giusti e via Oberdan) e a necropoli (via Cesare Battisti, via De Carolis, via Otranto).
Sembra opportuno sottolineare il rinvenimento di diversi scarichi ceramici all’interno dell’Ospedale SS. Annunziata, lungo la trincea per il potenziamento della rete fognante in prossimità di via Dante. Le sacche individuate devono essere riferite alle attività produttive da tempo note nell’area, piuttosto che a scarichi collegabili all’ambito cultuale, anch’essi però attestati nella complessa stratificazione archeologica del sito.
Tra i materiali raccolti nel corso dell’intervento, si segnala l’eccezionale interesse di un frammento di cratere a campana sovraddipinto, che conserva il particolare dell’oltraggio a Cassandra da parte di Aiace presso il Palladio (si riconosce l’avambraccio di una donna, con armilla serpentiforme, che si aggrappa al simulacro di Atena). Il rinvenimento riveste particolare importanza per gli studi in corso su questa classe ceramica, in base ai quali va acquistando sempre maggiore consistenza l’ipotesi del riconoscimento della fase iniziale della produzione a Taranto, da parte di ceramografi che operano in officine specializzate nella tecnica a figure rosse e che sperimentano, intorno alla metà del IV secolo, nuove soluzioni decorative d’ispirazione pittorica.
Risulta, invece, rivolta alla produzione acroma ed a fasce del Il secolo a.C. l’attività della fornace rinvenuta in via Giusti, area occupata in antico da uno dei quartieri artigianali finora noti a Taranto. La fornace, ubicata completamente sotto la sede stradale, è tipologicamente simile ad una scavata nel 1957 a qualche decina di metri di distanza in via Cesare Battisti.
La struttura, che conservava ancora il piano forato e l’imposta della cupola della camera di cottura, risultava però tagliata dalla rete fognante, per cui non è stato possibile riportarne in luce l’intera superficie anche se i resti sono stati lasciati in situ dopo gli opportuni interventi conservativi.
All’attività delle figlinae, e più precisamente all’esigenza di avere a disposizione una riserva idrica funzionale alla lavorazione dell’argilla, va riferita la grande cisterna rinvenuta a breve distanza dalla fornace sotto la sede stradale e il marciapiede di via Oberdan; struttura che risulta essere stata modificata e adattata, in tempi piuttosto recenti, ad altra funzione di carattere agricolo (forse di frantoio).
Passando alla necropoli, un rinvenimento di particolare rilevanza è quello di una tomba a camera violata rinvenuta, sempre sotto la sede stradale, in via Otranto: a pianta quadrangolare divisa in due parti da un arco in conci di carparo sistemati a secco, che svolge anche funzione di sostegno per la copertura, costituita da quattro lastroni anch’essi di carparo intonacati sulla superficie interna.
All’ipogeo si accede da sud attraverso una scala di sette gradini ricavati nel banco roccioso. Essa immette in un piccolo vestibolo (tav. XLI,l) su cui prospetta l’accesso, costituito da stipiti e architrave in cui s’inserisce la porta monolitica del tipo a saracinesca, con superficie dipinta a riquadri in rosso e verde con borchie in nero, a riprodurre due battenti lignei, secondo schemi già noti nella necropoli tarantina; nelle partiture superiori si riconosce altresì una testa di Gorgone in giallo-marrone, con copricapo annodato sotto il collo. La camera funeraria, parzialmente ricavata nel banco e costruita nella parte superiore con blocchi squadrati e cornice modanata, in parte di riutilizzo, conserva tracce della decorazione dipinta, probabilmente a festoni retti da bende rosse con nappe pendenti. La tomba presentava due fasi di utilizzo distinte riconoscibili attraverso modifiche strutturali apportate all’interno. La deposizione più antica, un’inumazione femminile inquadrabile nella seconda metà del II secolo a.C. (ceramica a pareti sottili), era deposta con parte del corredo funebre sulla kline che ne occupa la metà settentrionale fino all’arco.
L’utilizzo di poco successivo comportò la riduzione dello spazio interno, concepito originariamente per un solo inumato, attraverso la creazione di un nuovo letto funebre (tav. XLI,2) costruito con scaglie di carparo e con una parete perimetrale in mattoni crudi, su cui fu steso uniformemente un rozzo e spesso strato di intonaco. Le due deposizioni risultarono inoltre separate da una parete divisoria, sempre in mattoni crudi, impostata sul margine esterno della kline originaria a chiusura dell’arco.
Sul secondo letto funebre è stata rinvenuta l’inumazione (probabile semicombustione) più recente, sempre femminile. La costruzione della seconda kline comportò anche il parziale occultamento del corredo relativo alla prima deposizione, collocato sul pavimento della camera funeraria lungo la fronte del letto.
Il monumento funerario va riferito, quindi, ad un periodo immediatamente precedente o contemporaneo alla deduzione della colonia graccana del 123 a.C. e documenta, attraverso la composizione del corredo, la persistenza nel rituale di forme rappresentative di tradizione greca, cui si accompagnano elementi nuovi rispondenti alle esigenze socio-culturali della nuova realtà politico-amministrativa romana.
Ancora a Taranto, sulla scia della collaborazione offerta lo scorso anno dall’Associazione “Amici dei Musei” attraverso il restauro di alcuni reperti in bronzo da Rutigliano poi esposti in San Domenico nella mostra “Arte e artigianato in Magna Grecia”, va segnalato quest’anno un intervento promosso dal Rotary Club Magna Grecia: il restauro del louterion in marmo rinvenuto in mare a Punta Scifo presso Crotone nel 1908, già depositato presso il Museo di Taranto e dal 1934 dato in subconsegna all’Amministrazione Provinciale e collocato in uno degli androni del Palazzo che ospita, oltre la Provincia, anche la Prefettura e la Questura.
GIUSEPPE ANDREASSI